Sono oltre 200 gli sgomberi effettuati sul territorio del Comune di Milano dall'insediamento della Giunta Moratti del maggio del 2006; il ritmo è notevole, praticamente uno sgombero ogni settimana, e l'inverno 2009/2010 si è distinto per una decisa impennata del numero di interventi. Da una parte ci sono i politici di maggioranza che contemplano le ruspe e declamano ogni volta la lunga lista di aree “restituite alla città”, dall'altra le associazioni e parte della società civile, che denunciano l'irragionevolezza delle scelte di fondo e la disumanità dei metodi, e si trovano ciclicamente costrette ad un intervento di emergenza. Seguendo preoccupati gli avvenimenti di questo inizio 2010 proviamo ad appuntarci alcune prime riflessioni.
Primo. A Milano, una delle principali capitali economiche d'Europa, esistono le baraccopoli. Centinaia di persone si riparano tra lamiere e rottami, vivono in condizioni estreme, non accedono alla scuola, al lavoro e ai servizi di salute, segregate in quelle che sono state giustamente definite zone definitivamente temporanee.
Secondo. A Milano la risposta a queste situazioni di grave emarginazione utilizza quasi sempre il linguaggio della repressione invece di quello dell'inclusione sociale e della promozione di pari opportunità per tutti.
Gli sgomberi violano i diritti umani e la dignità delle persone.Quando si fanno sotto la neve e non risparmiano nemmeno i neonati allora davvero costituiscono un'emergenza.
Le alternative offerte dalla pubblica amministrazione -non a tutti e comunque all'ultimo minuto- prevedono condizioni umilianti come la frammentazione dei nuclei familiari, l'allontanamento delle mogli dai mariti, dei figli dalle madri. Anche per questo motivo di fronte alle ruspe molte persone hanno scelto di spostarsi semplicemente da una baracca ad un'altra e molti di questi duecento sgomberi hanno riguardato le stesse persone, alcuni addirittura gli stessi luoghi. Ci sarebbero altre strade praticabili? Certo. Interventi e politiche di superamento dei campi sono stati sperimentati con ottimi risultati in molti altri contesti territoriali, e Milano avrebbe a disposizione le risorse e le competenze per importare e costruire buone prassi.
Terzo. Gli sgomberi non servono per migliorare le condizioni di vita di chi li subisce e in molti casi nemmeno per valorizzare in altro modo aree preziose del territorio comunale. Ma non sono affatto inutili. Gli sgomberi sono uno strumento di negoziazione tra le forze politiche in campo, di comunicazione con la cittadinanza, di orientamento di un malcontento diffuso, di costruzione di un consenso centrato sulla diffidenza e su un artificioso senso di insicurezza. In politica la paura paga sempre.
E noi? Come attivisti vogliamo affinare uno sguardo critico che ci permetta di attraversare la complessità di quanto vediamo e di resistere alle logiche del consenso. Vogliamo immaginare spazi e occasioni di incontro e scambio per non sentire lontane le persone che abitano con noi questa città. Vogliamo oltrepassare i confini nei quali non ci riconosciamo, per trasformarci nel confronto e per costruire il cambiamento.
Andre
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Realtà ormai quotidiana nel sud milanese...
RispondiEliminaora vi posterò qualche spunto di riflessione.
http://www.milanotoday.it/zona/san-donato/nasce-un-blog-contro-i-rom-ma-non-tutti-sono-d-accordo.html
abbiamo anche i nostri supereroi
http://gallery.panorama.it/gallery/litalia_delle_ronde/159462_ronde_notturne_a_poasco.html
infine una notizia che sembra una barzelletta, io ho riso!
http://www.recsando.it/rassegnastampa/articolo.asp?p=2689419
http://poasco.blogspot.com/2010/02/incredibileil-i-nomadi-hanno-comprato.html